9 maggio 2013, anniversario di matrimonio. La querciola verde vicino a casa mi ha invitato a un meeting di sguardi (anche gli alberi guardano). Immancabili qualche foto con gli specchi. Ora che è verde e piena di vita comunica energia (anche gli alberi parlano) e vitalità. La quercia è ferma e dà un’impressione di stabilità. Ma a guardarla bene è dinamicissima e le foto con gli specchi provano a testimoniarlo. In realtà ogni cosa, vista da punti diversi, offre una diversa immagine di sé. Ogni cosa è ricca e l’occhio di Dio sa apprezzare la strabordanza di ciascuna piccola forma. Figuriamoci l’insieme e l’associazione infinita delle note e delle forme. Una foto non ha il profumo, il tatto, il suono… quindi è poverissima rispetto al reale che ci si manifesta. Eppure con il gioco degli specchi provo a suggerire la prospetticità (dadaista, futurista?) della possibile percezione di chi non è assuefatto, monotono e rassegnato, di chi non riduce la vastità totipotente di ogni forma al tedioso schemino di un segno fisso e fissato.
Sullo sfondo di alcune foto si vede il campanile del mio paese. Un riferimento sacro per indicare la sacralità del tempio-mondo, o meglio la possibilità di incontrare il Santo anche negli angoli banali della periferia.
Tra le diverse foto che ho scattato ne ho scelte alcune e fra di loro non ho saputo decidere quali scartare. D’altra parte la simbolicità della prospetticità è a sua volta esaltata dalla diversa ripresa. Basta un piccolo sostamento e cambia la scena. Ciò è possibile grazie al variare del tempo che inventa la possibilità del mutamento, che arricchisce ancora di più l’insieme e le parti. Un istante potrebbe essere guardato all’infinito cambiando posizione. Ma se gli istanti sono innumerevoli, quanti infiniti servono per godersi il gioco del mondo?
Basterà alla mia sposa questo bouquet di verde vivo?
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