Stasera gran tramonto. Il sole cala in linea con il campanile e il cielo sembra infuocato. La natura senza il sacro è bella uguale, ma il sacro, il cielo “celeste”, gli dà un significato. Il mondo creato sembra infatti un alfabeto; le cose sono come parole, verbi, articoli, segni di alfabeti misteriosi: cosa vogliono dire? a cosa alludono? di chi e di cosa stanno parlando? Ma poi, vorranno davvero dire qualcosa? O è tutta una nostra invenzione? Non siamo allora di fronte a un coacervo di segni insignificanti, di forme deformi, di suoni in-sensati? Un chiasso momentaneo disturba la pace dell’universo, per presto ritornare a esserne riassorbito nell’eterno silenzio. Ei fù, sì ci fu un boato breve come il coito del mandriaco. Un lampo nella notte e poi più nulla. Ci aveva illuso quel lampo, quel frastuono che ci capita di vivere. Sembrava che fosse un poema da decifrare, una missiva da interpretare, un copione da vivere. E invece nulla, solo una grande presa in giro. Peggio di quei politici che profondono retorica inconcludente. Meglio rassegnarci e non cascarci più davanti alla bellezza alludente del creato. Che, tra l’altro, e anzi proprio per questo, non è creato. Sguardo freddo e rassegnato. Cuore anafettivo. Nessuna bellezza ci deve incantare per la grande truffa. Nessun dolore ci deve impietosire. Freddi e indifferenti atomi che casualmente assumono una forma traditrice di bellezza e di pietà. Ma è un imbroglio…
Oppure no? E se fosse? Se invece la bellezza fosse un segnale per salvarci dallo scetticismo indifferente, che ci spinge a diventare pietre prima di morire? Duri come sassi anzitempo. Se invece fosse un segnale morse che ci interpella, che chiama la nostra persona chiusa nella campana di vetro, che simile a rugiada irrora l’arsura del cuore sabbioso? Se invece proprio la lacrima di dolore per ciò che non è giusto e lo stupore per l’incanto di ciò che è bello prima di ogni nostro commento e giudizio, proprio queste semplici cose, un pianto e un sorriso, fossero ciò che ci salva? Messe lì proprio per questo? Non sarebbe allora un grande sbaglio, una tremenda superstizione, lasciarsi truffare da chi spaccia il nulla, dalle idee refrattarie al senso? Attenti, amici cari, ne va del sempre e del meglio. Gettare la lettera con sprezzante orgoglio, ritenendola un foglio insensato; rimanere di pietra davanti al piccolo oltraggiato; dire, con alzata di spalle, “E allora? Tutto qui?”, di fronte alla nuda bellezza che irrompe nella sera; tutto questo è grave errore che rischia di rovinare il sempre e il meglio dell’eterno viaggio di cui la lettera del creato sembra parlare, e che purtroppo ci fa essere già ora, prima dello stacco, sciocchi profeti di morte e boriosi sacchi im-pietriti.
Voglio proprio vedere chi riesce a vivere nella dura coerenza del sasso. Perché è quello che aspetta chi nega il senso, la sensatezza delle parole del creato e il significato dei segni che ci zampillano da tutte le parti. Il sasso, essere e vivere da sassi, anzitempo. Voglio vedere chi ci riesce. Invece vedo negatori del creato commuoversi e ridere, piangere e stupirsi, ribellarsi e abbracciare. Vedo che chi nega il Creatore, e di conseguenza il senso nel creato (se nessuno parla, non ci sono parole ma solo chiasso, rumore di fondo), non diventa sasso, perché lo sente inconsciamente assurdo. E allora che non sia questa una dimostrazione, una verifica della giustezza di chi interpreta il mondo come un sistema grammaticale? L’impossibilità di diventare sasso anzitempo, e proprio da parte di chi nega il parlatore, cioè il creatore, sembra davvero una mano tesa, incoraggiante, alla ragionevolezza di trattare come parole cariche di senso ciò che vive nel tempo, compreso l’uomo, noi stessi. Orsù allora, piangiamo e ridiamo, tutto ciò ha senso. Il sacro, velato nelle forme del tempo, salva il tempo dallo scorrere insensato verso l’eterno silenzio, e dona al piccolo uomo (piccolo maschio e piccola femmina) il vigore di essere dalla parte giusta nella faticosa cura e nella gioiosa dedizione amorosa.
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