Un pomeriggio di metà anni ’80 nel mio paese si sono celebrati due funerali, uno di rito civile e uno cattolico. Insieme. Ideologie diverse che si confrontano contemporaneamente. Una visione forse non credente per la quale la vita è tutta qua, e una che crede in un al di là. I riti in fondo si somigliano, l’idea del futuro invece diverge totalmente. Ma se idee diverse danno luogo a riti sociali simili, allora a cosa serve credere in un al di là se poi chi non crede vive lo stesso le stesse cose? Sembra quasi che non sia importante cosa si crede ma come si vuole vivere civilmente. E questa potrebbe essere una morale facile. Penso invece che non sia così semplice. La socialità ha necessità di una trascendenza. L’io vivendo il noi sociale trascende e supera se stesso. In fondo il marxismo, che nella mia terra ha trovato un ambiente durevolmente fertile, dona una speranza alla vita individuale facendo in modo che il collettivo liberato nel futuro utopico diventi prioritario rispetto alle esistenze individuali. Il funerale civile delle foto era sicuramente impregnato di quegli ideali che sfidavano la fede ultraterrena.
Cosa succedeva in me in quegli anni? La convinzione che la speranza marxista era vana per quel che riguardava le cose più importanti della vita: il nostro destino che illumina il senso dell’agire. Nel piccolo reportage riprendo gente che guarda ciò che accade, ovvero il commiato secondo due prospettive ideali diverse. Ragazze giovani sedute con a fianco il cestino dei rifiuti che ha la scritta didattica “Usatemi grazie”. I due vigili urbani che servono a mantenere l’ordine pubblico, messo sempre a rischio dalIa distrittività della morte. I due anziani in piedi che si fermano a guardare il corteo che passa; non si sa di quale funerale si tratta (probabilmente il secondo, quello religioso, che è poi quello che ho seguito), sono in piedi con la bicicletta, stavano partendo ma si fermano rispettosi e pensosi; sono di spalle come amo riprendere spesso le persone, per entrare forse nel loro ruolo: vedere cosa vedono, vivere quel che vivono. Arrivati al cimitero mostro la banda: in fondo la musica che accompagna la morte potrebbe indicare implicitamente che la disperazione è vinta. C’è poi la foto del vaso di fiori secco, abbandonato, che esprime il timore sommerso del nulla, della fine di tutto, e qui è chiara la critica alla prospettiva atea che maschera il nulla con l’utopia. L’ateismo sociale vive di rendita, sostituisce la fede nell’al di là con quella di un futuro altrettanto invisibile e, per l’io del qui e ora, irraggiungibile. Infine il commiato, la gente torna a casa, all’uscita dal cimitero l’uomo si rimette il cappello. La vita riprende.
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