Queste foto sono le prime che ho fatto con un oggetto riflettente. Penso fossero le vacanze di Natale del 1977. Sono uscito con la Nikon F2 e il 24mm prendendo dal cucinotto di casa una coltellina, quel coltello lungo con il quale si taglia la sfoglia per fare le tagliatelle. Sono andato in giro per il paese innevato con la coltellina davanti all’obiettivo. Allora non mi interessava se appariva il cerchio dell’obiettivo, anzi era un segno di mia presenza nella scena. Pensandoci molto tempo dopo ho associato l’effetto tagliato della scena riflessa con l’oggetto riflettente, mai come in questo caso appropriato per il significato. Allora il paese mi stava molto stretto e quelle foto esprivano inconsciamente la voglia di tagliare, aprire un varco, uscire, evadere. Non escludo che ancora oggi, nelle foto che continuo a fare con lo specchio, ci sia anche questa sottile forma di ribellione per un “qui e ora” stretto e limitante. Certo, con la differenza che ora conosco: non è tanto il paesello ad essere piccolo, che anzi amo e apprezzo, ma la vita in sé, quello che chiamo il Regno dell’immanenza. Il mondo per quanto bello e attraente è poco per il mio animo. Una strana irrequietezza è più esistenziale che sociale. Penso che capire questo sia già un gran passo verso la saggezza perchè evita di fraintendere la rabbia e la ribellione credendola causata da condizioni sociali (e politiche) ritenute anguste e sbagliate. Quanti errori si commettono ribellandosi per qualcosa che poi col tempo si capisce essere importante e valido, oltre che inevitabile. Quanti re deposti da rivoluzionari che poi ne prendono il posto. Molta rabbia dovrebbe rendersi conto di essere esistenziale, metafisica, tesa a fare i conti con la vita e l’essere in generale. La ricerca di cambiamento, di palingenesi, di evasione, è una ricerca religiosa nel senso più ampio possibile.
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