Nell’enciclica “Lumen fidei” (La luce della fede), che già il fatto di essere stata scritta da due Papi la rende storicamente unica, si parla per 5 volte di specchio, riferito a Cristo e ai credenti.
n. 22
In questo modo l’esistenza credente diventa esistenza ecclesiale. Quando san Paolo parla ai cristiani di Roma di quell’unico corpo che tutti i credenti sono in Cristo, li esorta a non vantarsi; ognuno deve valutarsi invece « secondo la misura di fede che Dio gli ha dato » (Rm 12,3). Il credente impara a vedere se stesso a partire dalla fede che professa: la figura di Cristo è lo specchio in cui scopre la propria immagine realizzata. E come Cristo abbraccia in sé tutti i credenti, che formano il suo corpo, il cristiano comprende se stesso in questo corpo, in relazione originaria a Cristo e ai fratelli nella fede. L’immagine del corpo non vuole ridurre il credente a semplice parte di un tutto anonimo, a mero elemento di un grande ingranaggio, ma sottolinea piuttosto l’unione vitale di Cristo con i credenti e di tutti i credenti tra loro (cfr Rm 12,4-5).
n. 35
Immagine di questa ricerca sono i Magi, guidati dalla stella fino a Betlemme (cfr Mt 2,112). Per loro la luce di Dio si è mostrata come cammino, come stella che guida lungo una strada di scoperte. La stella parla così della pazienza di Dio con i nostri occhi, che devono abituarsi al suo splendore. L’uomo religioso è in cammino e deve essere pronto a lasciarsi guidare, a uscire da sé per trovare il Dio che sorprende sempre. Questo rispetto di Dio per gli occhi dell’uomo ci mostra che, quando l’uomo si avvicina a Lui, la luce umana non si dissolve nell’immensità luminosa di Dio, come se fosse una stella inghiottita dall’alba, ma diventa più brillante quanto è più prossima al fuoco originario, come lo specchio che riflette lo splendore. La confessione cristiana di Gesù, unico salvatore, afferma che tutta la luce di Dio si è concentrata in Lui, nella sua “vita luminosa”, in cui si svela l’origine e la consumazione della storia.31 Non c’è nessuna esperienza umana, nessun itinerario dell’uomo verso Dio, che non possa essere accolto, illuminato e purificato da questa luce. Quanto più il cristiano s’immerge nel cerchio aperto dalla luce di Cristo, tanto più è capace di capire e di accompagnare la strada di ogni uomo verso Dio.
n. 37
Chi si è aperto all’amore di Dio, ha ascoltato la sua voce e ha ricevuto la sua luce, non può tenere questo dono per sé. Poiché la fede è ascolto e visione, essa si trasmette anche come parola e come luce. Parlando ai Corinzi, l’Apostolo Paolo ha usato proprio queste due immagini. Da un lato, egli dice: «Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo » (2 Cor 4,13). La parola ricevuta si fa risposta, confessione e, in questo modo, risuona per gli altri, invitandoli a credere. Dall’altro, san Paolo si riferisce anche alla luce: « Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine » (2 Cor 3,18). È una luce che si rispecchia di volto in volto, come Mosè portava in sé il riflesso della gloria di Dio dopo aver parlato con Lui: « [Dio] rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo » (2 Cor 4,6). La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua la luce del cero accende tante altre candele. La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma. I cristiani, nella loro povertà, piantano un seme così fecondo che diventa un grande albero ed è capace di riempire il mondo di frutti.
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